Negli ultimi anni in MLB c’è stata una escalation clamorosa degli stipendi. In particolare quest’anno Robinson Cano ha firmato un contratto da 240 milioni di dollari, mentre Clayton Kershaw a seguito della sua estensione contrattuale riceverà più di 30 milioni di dollari l’anno. Per alcuni è eticamente immorale che ricevano certi stipendi. Per altri porterà ad un’insostenibilità del mercato che collasserà inevitabilmente. Per altri ancora segnerà un periodo di dominio di chi ha ampia disponibilità. Ma sarà vero?
Iniziamo dal secondo punto: è sostenibile una tale crescita degli stipendi? Nel 2002 gli stipendi delle squadre MLB hanno superato per la prima volta la quota di 2 miliardi di dollari (fonte in PDF). Nel 2013 invece gli stipendi di fine anno hanno toccato quota 3.35 miliardi. E’ un aumento del 67.5% in soli 12 anni e non sembra volersi arrestare. Scoppierà la bolla? Beh, io non ne sarei tanto sicuro. Come si può immaginare, il valore degli stipendi non dice molto, se non si conoscono gli introiti dell’industria. E i dati ci dicono che nel 2002 gli stipendi incidessero per il 67% degli introiti MLB (che dunque all’epoca erano di circa 3 miliardi di dollari), percentuale che (sempre secondo l’articolo linkato) è scesa al 51% circa dal 2006 al 2008. E nel 2013? Beh, l’MLB ha guadagnato fra gli 8 ed 8.5 miliardi di dollari, record di ogni epoca. Usando la cifra di 3.35 miliardi di stipendi, ricaviamo che l’incidenza sia stata fra il 39.4% ed il 41.9% (a seconda della cifra esatta fra 8 ed 8.5, appunto). In poche parole, in questi 11 anni, se da un lato gli stipendi sono aumentati del 67.5%, dall’altro gli introiti sono aumentati dal 160% al 180%, riducendo l’incidenza ed il peso dei primi sui secondi.
Gli introiti dunque crescono con ad una velocità molto più elevata degli stipendi, e stanno per entrare in vigore nuovi contratti locali e nazionali che permetteranno ulteriore crescita a breve e medio termine. Anche qualora vi fosse un calo, bisogna ricordarsi che il sistema fosse sostenibile tranquillamente anche con un’incidenza del 67%. Questo vuol dire che l’MLB sarebbe in buono stato anche con introiti di 5 miliardi di dollari, e naturalmente un calo (peraltro repentino) di quasi 3 miliardi di dollari di guadagni non è ipotizzabile. Analogamente, anche con introiti stabili e stipendi in crescita, bisognerebbe superare i 5.5 miliardi di dollari dedicati ai soli giocatori prima di trovarsi nella (comunque buona) situazione del 2002. Comunque la si giri, la situazione in MLB è rosea ed il margine di manovra è tale che anche quando ci sarà un inevitabile calo (non ci può essere crescita perenne) ci sarà molto tempo per ammortizzarlo. Se vi chiedete come sia possibile, ricordatevi che i vari Kershaw e Cano ed altri free agent rappresentino una fetta minima dei giocatori MLB. C’è un numero pauroso a costo controllato (ovvero al minimo di stipendio, come nei primi 3 anni, o in arbitration, come dal quarto al sesto anno di contratto) e quei giocatori servono a tenere bassa la spesa generale. Alcuni fortunati poi arrivano a prendere centinaia di milioni, ma sono bruscolini rispetto a quanto altrimenti risparmiato dalle varie proprietà.
Ok, abbiamo stabilito che il sistema non solo sia sostenibile, ma che addirittura stia meglio di una decina d’anni fa. Passiamo alla presunta questione del potenziale dominio delle squadre straricche (in questo periodo sarebbero Yankees e Dodgers in particolare). Il boom economico del baseball è arrivato nel nuovo millennio. Bene, dal 2001 ad oggi nessuno si è mai ripetuto come vincitore in anni consecutivi. Abbiamo avuto 9 vincitori diversi in 13 anni e solo i Red Sox hanno vinto più di 2 volte (hanno vinto 3 volte e l’hanno fatto con 3 squadre diverse – non certo con una dinastia immutata, ma dovendosi reinventare). Ben 14 squadre su 30 hanno raggiunto le World Series in questi 13 anni e fra loro ci sono persino i Tampa Bay Rays, forse la squadra più squattrinata della lega. Ai playoff sono arrivate negli ultimi anni Rays, Pirates, Athletics, Rockies, Padres, Brewers e chi più ne ha più ne metta. Il monte stipendi sicuramente aiuterà (soprattutto nell’ammortizzare eventuali errori) ma sebbene l’MLB non abbia un salary cap ed abbia avuto fino all’anno scorso solo 8 posti ai playoff (adesso sono 10), c’è stato margine di risultati per chiunque. In effetti l’ultima grande dinastia è stata quella degli Yankees di fine anni ’90, prima che ci fosse il boom economico. Più soldi hanno dunque portato ad una diversificazione notevole dei vincitori. La gente è così appassionata che gli ultimi 10 anni di MLB sono stati i 10 anni con più spettatori allo stadio, nonostante internet e tv abbiano migliorato abbondantemente la fruibilità da casa. Lo spettacolo rimane elevatissimo e continua anche a beneficiare del fatto che in estate il baseball non abbia rivali.
Finiamo dunque col problema etico e morale. Intanto una sottolineatura: più soldi portano a più impiego. Vengono assunti più scout, più stagisti diventano full-timers, più magazzinieri, più uomini della sicurezza, più negozianti, più venditori di peanuts&crackerjack, più persone nell’area marketing, più tutto, con un beneficio notevole dell’economia in generale. Ma comunque è giusto che una persona venga pagata 30 milioni e passa per lanciare una palla 30-33 volte l’anno (più playoff)? Beh, è lui il prodotto ed è lui la forza-lavoro. Alla fine lo stipendio è determinato dalla produttività e dall’incrocio delle curve di domanda ed offerta. Clayton Kershaw, Robinson Cano e gli altri sono il motivo principale per cui ci sia stata questa esplosione esponenziale degli introiti ed è dunque giusto che ne godano direttamente. Ne sono gli artefici: il pubblico ed il libero mercato hanno determinato che quello sia il loro valore, quindi sarebbe anzi immorale ed anti-etico restringere le loro possibilità di guadagno, se la loro produttività è ben superiore e produce effetti a cascata con benefici su tutto il movimento (incluse le persone “comuni”). Semmai bisognerebbe discutere se sia giusto che tutti quei soldi girino attorno al baseball piuttosto che attorno alla ricerca, ma di nuovo è il mercato a parlare. Se la gente si interessa ed è disposta a spendere per questo spettacolo, è giusto che siano gli attori a goderne per primi e se a qualcuno da’ fastidio che girino tutti questi soldi, fa prima a non andare allo stadio e spegnere la tv per spenderli in altro modo. In fondo se Kershaw prendesse meno soldi, il surplus non andrebbe alla nonnina del Nebraska che non arriva a fine mese, ma finirebbe nelle tasche ben più capienti dei proprietari delle squadre MLB. Ribassare artificialmente gli stipendi sarebbe come togliere a milionari per donare a miliardari, per capirci. Ed allora ben venga lo stipendio di Kershaw, che permette ugualmente ai suoi datori di lavoro di guadagnare ben più di quanto diano ai giocatori, e permette indirettamente anche di reinvestire nell’occupazione di tutte le persone che, nel loro piccolo, gravitano attorno all’universo MLB in ruoli minori ma importanti. Questa epoca d’oro in cui tutto il movimento prospera non potrà durare per sempre. Ma per adesso la situazione è florida e le squadre si stanno attrezzando anche in maniera da assicurarsi un periodo di ammortizzamento quando inizierà la decrescita, per non essere colte di sorpresa e pagare la loro disattenzione a caro prezzo. Per ora ci stanno decisamente riuscendo.
PS: Un bel grafico da Biz of Baseball, che mostra la crescita degli introiti in MLB, e l’articolo che l’ha accompagnato.
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Abbonati al commento con l'rss o lascia un TrackbackCaro Renè,
dopo aver letto il tuo condivisibile, esauriente ed interessantissimo articolo, mi permetto di provare ad implementare il mio ragionamento, facendo seguito ai messaggi che ci siamo scambiati qualche giorno fa sui social network.
La premessa, che spero condividerai, è obbligatoria: credo di poter dire che, alla fine, siamo molto più d’accordo di quanto possa sembrare. Io concordo con te (e non potrei fare altrimenti!) quando dici che il “sistema” baseball in America gode di ottima salute e vive il suo momento di più fulgida espansione economia della sua storia, tu sei s’accordo con me (almeno mi sembra di capirlo) quando scrivi che, cito testualmente, “Questa epoca d’oro in cui tutto il movimento prospera non potrà durare per sempre. Ma per adesso la situazione è florida e le squadre si stanno attrezzando anche in maniera da assicurarsi un periodo di ammortizzamento quando inizierà la decrescita, per non essere colte di sorpresa e pagare la loro disattenzione a caro prezzo. Per ora ci stanno decisamente riuscendo.”
Detta così, la mia opinione, qui ed adesso, sembrerebbe superflua; invece credo di poter aggiungere qualche altro elemento al nostro confronto d’ opinioni (che ti confesso trovare godibilissimo), nella speranza che, laddove tu avessi elementi per farmi “cambiare idea” (solo gli stupidi non lo fanno; e sono convinto che, date le tue competenze, è probabile tu ne abbia), possa trovare il tempo e la voglia per condividerli con me.
Il punto è questo. Trovo una leggera contraddizione tra le argomentazioni che porti a sostegno delle tue tesi, e gli esempi che introduci nell’esposizione delle stesse per dimostrarli; sono facce della stessa medaglia, li affronto separatamente, ricordandoti che la mia obiezione primaria verteva sulla “sostenibilità” della crescita del sistema.
1) – Il mercato degli ingaggi andrebbe calmierato (la mia obiezione); si auto-regolamenta già da solo visto che “per un Kershaw che guadagna cifre altissime la stragrande maggioranza degli attori viaggia al minimo salariale” (la tua risposta). Questo è l’archetipo di un comportamento “squilibrato” in un sistema economico; non lo dico io (figurati), ma lo sostengono gli ultimi 40 Premi Nobel per le Scienze Economiche. John Nash (Premio nel 1994) affronta il problema nella sua tesi di dottorato di laurea a Princeton nel 1950 in maniera marginale (nel senso che il tema centrale del suo lavoro è un altro), ma sostiene che l’equilibrio in un sistema viene raggiunto quando “tutti i ‘giocatori’ ottengono un pagamento che presenta la convergenza degli interessi di tutti”. Il famosissimo “Equilibrio di Nash”. Per quanto riguarda il sistema salariale vigente nelle Major, proprio dal tuo articolo si ricava chiaramente che questo equilibrio non esiste. Ora ti faccio una domanda alla quale non ho risposte, solo qualche idea in proposito: il tifoso che si abbona al pacchetto televisivo di MLB, quello che compra i “season tickets”, quello che porta i figli allo stadio, le grandi aziende che stringono accordi con le franchigie ed inseriscono bliglietti omaggio tra i bonus che elargiscono ai collaboratori, quelle che ne fanno una sorta di “spesa di rappresentanza” per i loro clienti, come credi reagirebbero se il 95% dei giocatori (quelli che, opinabilmente, si ritengono sottopagati) decretassero l’ottavo sciopero in quarantadie anni? Non parliamo degli inservienti, degli addetti alla sicurezza, alla vendita delle noccioline, ma dei “bush players”, quelli che vivono costantemente a margine del sistema dei “grandi contratti” e rappresentano la mostruosa maggioranza della “forza lavoro”?
2) Gli introiti record che le franchigie stanno registrando (ed il conseguente beneficio che ne traggono i bilanci, e quindi il “sistema”) sono anche collegati ai contratti sottoscritti dalle franchigie con i network televisivi. Qui (ovviamente) non si parla del contratto nazionale, ma della crescente moda dei contratti locali. Sai meglio di me cosa son riusciti a “strappare” i Dodgers con Time Warner, e sai benissimo che nei prossimi due anno andranno in scadenza i contratti di altre franchigie (Mariners, Cubs, Diamondbacks, Phillies); ovviamente, con l’esempio dei Dodgers le franchigie (contando sul boom in corso) spareranno ad alzo zero per strappare contratti più lucrativi possibili. Ora, se è vero che all’asta potranno partecipare solo i network più solvibili economicamente (in omaggio alla logica di domanda-offerta che tu giustamente tiri in causa), è altrettanto vero che i Rays, gli Astros, i Padres, gli stessi D’backs non si potranno mai sognare di chiedere gli stessi soldi dei Dodgers (figurarsi quelli dei Red Sox o degli Yankees). Ecco, lungi dal voler immaginare che si possa limitare o addirittura vietare la “corsa” al contratto più remunerativo possibile, non riesco a trovare nessun altro elemento di “disturbo” e “squilibrio” del sistema tutto, con effetti che saranno visibili molto presto.. anzi, lo sono già adesso; la “Luxury Tax” a Los Angeles non spaventa nessuno e sono convinto tu sia d’accordo con me.. Ecco, mi permetto di ricollegarmi ad un tuo esempio: lo “scouting system” dei Red Sox sarà il migliore al mondo, Ben Cherington e Larry Lucchino sono due geni assoluti, ma forse avrebbero anche loro problemi nel convincere un giocatore a giocare a Fenway se si pongono come obiettivo di non sforare quota 189 per ricostruire la squadra e puntare al quarto anello in, diciamo, quindici anni se dall’altra parte dell’oceano se ne possono “sbattere” ed offrire a quello stesso giocatore il doppio del salario!
3) I record che il fatturato complessivo sta generando anno dopo anno sono anche “drogati” da elementi esterni che non sono sistemici quanto episodici, e che in un caso soprattutto testimoniano di quanto non gli attori, non i comprimari, non gli addetti ai lavori ma l’altra “parte” dello spettacolo (il pubblico, gli spettatori), non condividano poi così tanto l’idea di una espansione continua ed ingiustificata. Tra tutti, l’elemento di disturbo è rappresentato dalle spese che molte franchigie hanno “non-sostenuto” per costruire gli impianti. Lo stadio dei Pirates è stato costruito con soldi pubblici, nonostante un referendum tra i cittadini avesse bocciato l’idea. I cittadini di Baltimore pagheranno 20 dollari l’anno (pro-capite) per altri dieci anni per la ristrutturazione del Camden Park, nonostante le casse comunali non si sarebbero potute permettere la spesa. La contea di Hamilton ha sborsato 805 (ottocentocinque) milioni di dollari per costruire il Great American Ballpark ed il Paul Brown Stadium per il football a Cincinnati, e se è vero che non si costruisce uno stadio al giorno, è altrettanto vero che l’effetto benefico sul bilancio della franchigia prima, del “sistema” baseball è episodico, non strutturale (quindi le percentuali di crescita ne risultano drogate). Allo stesso modo, se è vero che lo stadio nuovo (e tutte le voci di entrata ad esso collegate; sai meglio di me di cosa parlo) ti permette di espandere il fatturato nell’immediato, la crescita dello stesso segue una curva che arriva poi naturalmente ad una stagnazione. Ora, più dei numeri in sé, ai fini del mio discorso conta l’approccio al sistema del megamiliardario che (hai ragione da vendere) cerca di ottimizzare i costi e guadagnare più che può, e l’atteggiamento del tifoso di Pittsburgh, di Baltimore, di Cincinnati che può decidere di averne le scatole piene, non andare più allo stadio, non guardare più le partite in “pay-per-view” e far implodere il sistema. Non so se son riuscito a spiegare il concetto, ma tutti e due gli approcci sono secondo me evidenti sintomi della “malattia” del sistema, che potrebbe causarne l’implosione molto prima di quanto, oggi e di fronte ai numeri record, possa sembrare.
Ti avrò annoiato; ti chiedo scusa e mi ripeto nel dire che trovo questa conversazione stimolante ed interessantissima.
Cerco di rispondere succintamente:
1) Il “problema” è che l’equilibrio sia stato trovato. La Free Agency ormai è in vigore da quasi 40 anni. Da allora, l’MLBPA ha determinato che per massimizzare i guadagni dei FA era importante che ci fosse un numero limitato di loro ogni anno sul mercato (infatti Finley, degli A’s, inizialmente propose che tutti fossero FA tutti gli anni, pensa un po’!). Per ottenere questo, ha accettato il sistema dei 6 anni a costo controllato e va così da 40 anni. Non è un tema centrale dei discorsi con l’MLB quando si parla di CBA, a patto di aumentare il minimo ogni anno. Una dozzina d’anni fa era circa 200mila. Ora è mezzo milione. Non sono tanti soldi rispetto a quanti ne girino, ma non sono neanche pochi. Bisogna ricordarsi che in realtà i giocatori che compongono l’MLBPA non includono i minor leaguers, e tutti pensano (in maniera fin troppo ottimistica, aggiungerei) ai loro futuri guadagni da FA. E quindi accettano questa limitazione artificiale. Fanno bene? Per me no, ma è una loro linea. Secondo me il prossimo CBA si giocherà maggiormente su altri tavoli, in più bisogna vedere come si comporterà Tony Clark, ma se ci fosse stato ancora Weiner, posso sostanzialmente garantire che non ci sarebbe stato rischio di sciopero (e probabilmente non c’è neanche così).
1b) Se ci fosse lo sciopero probabilmente reagirebbero come nel 1994: calo degli introiti riassorbibile in breve tempo (nel 1993 guadagnarono 1.8 miliardi, nel 1994 “solo” 1.2, ma poi 1.4 nel 1995, 1.8 nel 1996 e 2.1 nel 1997). Le squadre hanno sofferto e soffrono per gli scioperi, ma visto che i contratti che firmano (per tv, sponsorizzazioni e tutto il resto) sono pluriennali, le perdite rientrano in fretta. Gli spettatori rientrano con minor fretta (è per questo che ci sono voluti 2 anni prima di tornare ad aumentare gli introiti, nel 1994), ma rappresentano una voce sempre minore, specie adesso che è partita anche roba come MLBAM, MLB Network e tutto il resto. Insomma, soffrirebbero, ma meno del 1994, ed hanno un margine di manovra così ampio da poterlo assorbire.
2) Se ho ben capito, stai sostenendo che da quando c’è stato il boom economico non si sia vista disparità sul campo… ma è solo questione di tempo perché se ne vedrà a breve (nonostante proprio col boom siano sparite le dinastie). E’ un’ipotesi. Io non concordo, anche perché la forza di una squadra è determinata anche e soprattutto dal livello dei suoi giovani. Si può costruire una buona farm con qualsiasi budget (almeno se si parla di budget MLB). Non è che Boston debba convincere dei giocatori a giocare con la sua casacca… del roster campione in carica Ellsbury, Pedroia, Nava, Bogaerts, Middlebrooks, Lester, Doubront, Buchholz, Tazawa e Workman venivano dall’interno. Non è possibile costruire una squadra vincente interamente con la free agency (troppi soldi e troppi anni, che portano ad un declino relativamente rapido) e se hai abbastanza giovani forti, risparmi abbastanza da poterli integrare coi giusti innesti anche se hai un budget ridotto. Aggiungo che Ortiz, Peavy, Saltalamacchia, Carp e Breslow siano arrivati in trade. E Drew, Victorino, Gomes, Napoli e Uehara erano FA, ma con uno stipendio così basso che chiunque se li sarebbe potuti permettere. Gli unici “big tickets” erano Lackey e Dempster… e mi permetterò di non considerarli centrali alla conquista del titolo. Peraltro se questo ragionamento venisse applicato ai Cardinals campioni NL, sarebbe ancora più lampante. Secondo me i soldi danno un vantaggio: hai più margine di errore. Se sbagli, puoi riparare più facilmente ai tuoi errori, quindi è anche più facile uscire dai guai quando ci entri (come gli Yankees quest’anno). Ma se lavori bene, puoi sempre vincere e questo non cambierà. Inoltre l’MLB ha un sistema di playoff tale che permette di vincere a chiunque ci arrivi, quindi ogni anno ci saranno almeno 15 squadre in grado di portare il titolo a casa (e fra quelle 15 ci sono le 10 dei PO ovviamente). Se riescono a competere A’s, Rays e Pirates, non c’è ragione per cui non debbano riuscirci altri.
3) Non definirei gli introiti episodici… nel grafico in calce all’articolo si vede come negli ultimi 20 anni ci sia stata crescita (e quindi un record di incasso) in ben 18 di essi, con 2 anni di plateau. Già sappiamo che i prossimi 2 anni porteranno altri 2 record. E’ fondamentale sottolineare poi che gli stipendi non siano cresciuti altrettanto, perché anche se gli introiti ristagnassero, il margine di incidenza è diventato tale che potrebbero riassorbirlo davvero in ben oltre 10 anni… e se non dovessero farcela, in 10 anni si esaurirebbero praticamente tutti i contratti ed il mercato avrebbe tempo per riequilibrarsi in maniera naturale ugualmente. Per quanto riguarda gli stadi: ad Atlanta (anzi, nei sobborghi) costruiranno un nuovo stadio in questi anni. Poi toccherà ad Oakland e Tampa Bay probabilmente. Sempre a carico della comunità. E’ giusto? No, ma lo fanno ugualmente. E se da un lato i contribuenti in linea puramente teorica potrebbero stancarsi o ribellarsi, all’atto pratico l’attendance (tranne che ad Oakland e TB, citate appositamente) è sempre guidata dai risultati della squadra. Poi possiamo ipotizzare “e se…”, ma intanto rimane un’ipotesi che poteva verificarsi in qualsiasi momento negli ultimi 20 anni (e non si è verificata) e poi torniamo sempre al fatto che i contratti di sponsorizzazione e tv siano sufficientemente lunghi (e l’incidenza degli stipendi sia sufficientemente bassa) da consentire un periodo di riassorbimento delle spese senza troppa fatica. Poi chiaro: i proprietari MLB diranno sempre di avere pochi soldi. In quel modo possono giustificare i nuovi stadi costruiti dalla collettività e tutte le agevolazioni del caso. Ma saranno in difficoltà reale? E’ davvero difficile da ipotizzare, perché tutto risulta essere abbastanza fantasioso… come se dicessimo “e se le tv con le quali hanno contratti fallissero e non pagassero?” Intendiamoci: certe cose possono succedere sempre, ma possono succedere a qualsiasi latitudine e sono ragionamenti applicabili a qualsiasi industria a prescindere dagli stipendi che elargisce. E se a Cincinnati si scocciano di guardare le partite, ci sono altre 20 città USA che sono pronte ad accogliere una nuova squadra di baseball, garantendo stadio e tutto il resto.
4) Aggiungo un quarto punto: se anche i “poveri” giocatori dovessero scioperare, il massimo che potrebbero chiedere nel CBA sarebbe uno split rigido degli introiti (come fanno in NBA per esempio). Ci si potrebbe accordare su un 50/50, o 55/45. In ogni caso si rimarrebbe nell’ambito della sostenibilità del sistema. Le discussioni potrebbero diventare anche aspre, ma rimarrebbero di piglio economico. Nessuno ha interesse nel far fallire il sistema, e di fatto, proponendo che ci sia più ricchezza a disposizione dei “piccoli giocatori”, stai proponendo di aumentare, non ridurre, l’incidenza degli stipendi sugli introiti. Al contrario: supponiamo che davvero vadano calmierati ulteriormente. Sapendo che oggi siamo al 40% di incidenza… quanto sarebbe eticamente giusto che davanti ad introiti record anno dopo anno i giocatori finiscano per prendere qualcosa tipo 20-25% degli introiti totali mentre dei miliardari che hanno l’unico pregio di essere miliardari (perché all’interno del sistema MLB il rischio di perdite è praticamente nullo e non c’è reale rischio d’impresa) diventano ancora più ricchi? E soprattutto: come si propone di calmierare gli stipendi, se ogni anno la loro incidenza sugli introiti si sta già riducendo? Non è proprio quella la definizione di “calmierare”, ossia ridurre l’incidenza sugli introiti? Insomma, finisce per essere un cane che si morde la coda. Alla fine l’importante è che il mercato abbia la possibilità di autoregolarsi, prevenendo i rischi reali di calo. E questo lo hanno fatto.
Buongiorno, buona domenica e grazie per la risposta. Premetto che non hai scritto una virgola che sia una che io non condivida in pieno, ti farei notare che la mia obiezione di fondo rimane; l’indiscutibile ed invidiabile crescita del “sistema” baseball in America segue logiche che non sono equilibrate. Ci sono un bel po’ di elementi che tendono ad allontanare il punto di equilibrio dello stesso più di quanto le esplosioni di fatturato tendono ad avvicinarlo e mi permetto, presuntuosamente, di ribadirlo. La sempre maggiore dipendenza dagli introiti televisivi che tu stesso sottolinei ne è il più evidente, la tendenza dei paperoni a socializzare le spese e privatizzare i profitti quello più subdolo, la sperequazione dei trattamenti economici tra i protagonisti ed i “comprimari” quello (economicamente parlando) più incidente (mi permetto di specificare che il mio riferimento alle idee di Nash di ieri non andava applicato al sistema baseball, ma ai rapporti tra i “giocatori” convolti, laddove per giocatori sono intesi tutte le parti in causa). Parimenti, il riferimento a Boston (con l’immediato rilancio dell’esempio illuminante dei Cardinals che facevi te per confutarlo) intendeva sottolineare proprio l’aspetto che tu hai rimarcato: i soldi che i Dodgers ricevono come surplus garantiscono loro un “cuscinetto di rischio” gestionale che altre franchigie non hanno. Poi, che lo squilibrio (in assenza di elementi di disturbo che oggi dovrebbero apparire come dei cataclismi, tanto è difficile immaginarne uno!) diventi evidente tra 10 o 30 anni, e che nel frattempo i gestori del sistema siano in grado (e chi ne dubita!!) di porvi rimedio, questo è fuori discussione. In definitiva (vedo, permettimi una battuta, che nemmeno tu hai il dono della sintesi!), credo di poter sintetizzare il tutto dicendo che siamo entrambi d’accordo sul fatto che il sistema gode di ottima salute e che sia gestito con cinica intelligenza, ed entrambi immaginiamo che prima o poi si dovrà mettere mano a qualche tipo di riforma che regoli meglio le dinamiche di crescita; differiamo, nelle opinioni, soltanto sul “quando” queste riforme debbano essere applicate e sul “cosa” possa succedere se le stesse non andranno in porto.
Ti ringrazio di nuovo per l’attenzione e per aver voluto condividere con me questo scambio di opinioni.
Non c’è nessun dubbio sulla mancanza di equilibrio del sistema per me. Ma è una mancanza voluta e cercata da entrambe le parti in causa, quindi è più stabile di una “imposta” da una delle due parti.
Soprattutto la cosa fondamentale per me è che la mancanza di equilibrio non implichi una mancanza di sostenibilità per l’industria. Infatti giustamente dici che un giorno dovranno mettere mano al sistema, ma questo avviene anche nelle industrie equilibrate, quando vi è una variazione sensibile negli introiti. Solo che qui nel frattempo stanno mettendo da parte abbastanza soldi per i giorni di pioggia da non andare nel panico quando questi arriveranno (non a breve, comunque).
Ci sentiamo alla prossima, ciao.